di Federico Bo
Call me (Call me) on the line
Call me, call me any, anytime
Nella sfortuna della pandemia, siamo fortunati. Abbiamo la Rete, e con essa restiamo connessi agli altri pur nel nostro isolamento.
Riusciamo a sentirci, a vederci, a studiare, a lavorare.
Ma dopo una audio-conferenza o una videocall ci sentiamo stanchi, mentalmente esausti. Perché? Perché interagire attraverso la mediazione di uno schermo e di un microfono ci risulta più faticoso?
Una serie di tweet di Gianpiero Petriglieri, professore associato di Comportamento Organizzativo presso la Business School INSEAD di San Francisco, ha suscitato molto interesse e numerose risposte.
Petriglieri scrive che una video-chiamata:
è la negazione plausibile dell’assenza reciproca. Le nostre menti ci ingannano con l’idea di stare insieme quando i nostri corpi sentono che non lo siamo. La dissonanza è estenuante.
I nostri corpi elaborano così tanti contesti, così tante informazioni, negli incontri, che l’incontro sul video è uno strano tipo di benda sugli occhi. Sentiamo troppo poco e non possiamo immaginare abbastanza. Quella singola privazione richiede molto sforzo cosciente. (trad. mia)
Molti utenti hanno confermato, segnalando le loro esperienze:
As a teacher I am wondering why a thirty minute live lesson is so much more tiring than an hour in person, both for them and for me
Alcuni hanno detto di preferire le call con solo audio, altri quelle con video.
Il problema rientra nel campo della comunicazione mediata dal computer o CMC (Computer-mediated Communications) ed è stato oggetto di studi fin dagli albori dell’era dell’informatica di massa.
La comunicazione diretta tra esseri umani si basa su molti fattori, non solamente quello verbale: gesti, espressioni del volto, contesto fisico comune contribuiscono a rendere il passaggio di informazioni (ed emozioni) più fluido e “naturale”.
Quando il canale di comunicazione si restringe, alcuni elementi di questa interazione si perdono (come l’aspetto visuale nelle call conference) o vengono trasformati, distorti e disturbati.
Il nostro cervello cerca di ritrovare le condizioni ideali per comprendere quanto ci viene trasmesso, e questo lavoro suppletivo genera stanchezza mentale.
Se siamo in una conference via audio, anche con una sola persona, il primo problema con cui abbiamo a che fare è la qualità dell’audio stesso: ovviamente, peggiore è la sua qualità, più problemi abbiamo nell’interpretazione delle parole. Anche piccolissimi ritardi possono appesantire il carico di lavoro del cervello e un audio perfetto può scontrarsi con rumori di fondo non filtrati e magari enfatizzati dal microfono del nostro interlocutore. Un altro limite delle conference vocali è che tendiamo inevitabilmente a distrarci, consultando email, navigando, mangiando…Il 57% delle persone ammette di operare in questo multitasking clandestino durante questo tipo di riunioni online, contro il solo 4% delle video-conference.
La possibilità di confrontarsi con un “faccia a faccia” mostrandosi ciascuno sul proprio schermo pone altre sfide. Innanzitutto la tensione aumenta, perché dobbiamo preoccuparci di come siamo vestiti e dell’ambiente in cui ci troviamo: abbiamo paura di doverci alzare (se non abbiamo indossato altro che i boxer floreali acquistati al duty free dell’aeroporto) o di essere costretti a difenderci dalla (di solito rara) voglia di coccole del nostro gatto.
Con più di cinque persone attivamente coinvolte, poi, la conversazione diventa obbiettivamente assai difficile da gestire.
Altri problemi si creano quando alcune persone sono insieme nella stessa stanza mentre altre sono da sole davanti allo schermo. Da un lato, le prime possono monopolizzare la conversazione escludendo anche in maniera inconsapevole gli altri. D’altro canto alcune ricerche hanno rivelato che si formano “coalizioni locali”: più facili nelle audio-conference, dove con il tasto “mute” in azione possono nascere trame e complotti del tipo “noi contro loro” ma non infrequenti anche con la presenza del video (grazie a colpi di piede sottobanco o disegnini su fogli di carta…). Per chi voglia approfondire queste dinamiche consiglio di leggere un piccolo testo del 2004, “Challenges in Virtual Collaboration” edito nientemeno che dalla famosa (famigerata) Rand Corporation.
In ogni caso, quando si lavora o si studia attraverso una finestra digitale occorre un impegno notevole, per evitare di diventare quelli che Petriglieri, in un’intervista, chiama “zoombies”, esseri dissociati dal contenuto dell’incontro con lo spirito che vaga in qualche altrove.
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